Da 12 anni specialista in fotografia immobiliare e per il turismo

Mi chiamo Giacomo Altamira, sono un fotografo di professione da 18  anni e da oltre 12 sono specializzato in fotografia d’interni e architettura per il settore alberghiero e immobiliare.

IMMOBILVISUAL è il brand che ho fondato da qualche anno, dedicato esclusivamente alla fotografia di hotel e real estate.

Ho la fortuna di vivere in Sardegna, a due passi dalla Costa Smeralda, una delle destinazioni turistiche più famose e rinomate del mondo, da sempre sinonimo di lusso ed eleganza.

Il mio lavoro ha un fine ultimo che è quello di aiutare i clienti a migliorare le vendite di immobili e le prenotazioni negli hotel, attraverso l’immagine. E’ un processo di valorizzazione che passa attraverso la creazione di immagini che possano informare correttamente, comunicare l’unicità del brand e differenziarsi sul mercato.

Oltre a essere un fotografo, da diversi anni sono anche un formatore, sempre in ambito fotografico: nel mio catalogo, oltre ai classici corsi per imparare a fotografare trovi anche quello di fotografia immobiliare.

Valorizzare le strutture turistiche e gli immobili attraverso l’immagine per far aumentare i contatti, le vendite, le prenotazioni: questo è il mio lavoro.

Valorizzare restando fedeli alla realtà

Il mio obbiettivo è valorizzare gli immobili che fotografo, esaltandone le caratteristiche e i pregi al fine di ottenere immagini di forte impatto visivo ed emotivo.

Sono fermamente convinto che chi arriva in un hotel o in una villa debba ritrovare esattamente l’ambiente che ha apprezzato nelle foto. Per questo preferisco sfruttare più possibile l’atmosfera che la luce naturale crea negli spazi e mi piace ricreare il calore di casa o esaltare il lavoro dei designer eventualmente con l’illuminazione presente negli ambienti.

Con pochi accorgimenti, senza mai stravolgere gli ambienti, rendo gli spazi più accoglienti e li ottimizzo in modo tale da risultare più desiderabili per i potenziali clienti.

Perché ho scelto di occuparmi di fotografia d’interni e architettura

Non sono nato fotografo di ambienti… ci sono diventato.

Partiamo da questo: mi ha sempre affascinato il cambiamento delle città.

Quello che vedi oggi, ieri non c’era, oppure era diverso. Come nella moda, anche in architettura gli stili e i concetti riflettono il modo di pensare di un certo momento storico. E come una fotografia, gli edifici restano a ricordarci di quel momento.

Credo che l’architettura in qualche modo sia molto legata alla fotografia: sia il fotografo che l’architetto hanno come obbiettivo quello di creare qualcosa che duri nel tempo. Un ricordo, un luogo… il ricordo di un luogo.

Sicuramente la mia scelta di fotografare architetture è stata influenzata dai viaggi. Come quando scoprii il lavoro che Santiago Calatrava realizzò a Reggio Emilia con i ponti e l’incredibile architettura della stazione ferroviaria dell’alta velocità.

Ma, senza dubbio, furono due momenti precisi a suggerirmi che la fotografia d’interni doveva essere la mia strada.

Il primo fu quando ristrutturai quella che sarebbe diventata la mia casa. Lì, scoprii il mondo dell’interior design: giorni interi passati a fare ragionamenti su materiali, arredi, colori, stili. Pensare a come organizzare un ambiente al meglio per renderlo funzionale. Avevo poche risorse quindi feci tutto da solo, certamente anche sbagliando, ma d’altra parte imparai molte cose che oggi mi tornano utilissime. Da allora, infatti, guardo ogni immobile che fotografo con occhi diversi.

Il secondo momento fu il viaggio a Berlino, che cambiò per sempre il mio modo di vedere l’architettura.

Berlino è una città cresciuta molto negli ultimi 30 anni, dopo la caduta del muro, e proprio per la sua travagliata storia presenta un mix di stili difficile da trovare altrove.

Nel raggio di 1 km si può trovare un compendio di architettura contemporanea: la riqualificazione di Potsdamer Platz, progettata, tra gli altri anche da Renzo Piano; diverse “torri”; il Sony Center e la cupola del Reichstag, progettata da Norman Foster. Roba da leccarsi i baffi.

La folgorazione però avvenne quando visitai il Museo ebraico – il Jüdisches Museum – e rimasi sconvolto dal percorso sensoriale che il progettista dell’edificio aveva studiato per far provare ai visitatori quello che il popolo ebraico aveva subìto durante l’olocausto. Lunghe gallerie chiamate assi che via via si facevano più strette e opprimenti: muri obliqui, soffitti che si abbassavano, luci accecanti che si accendevano come flash, all’improvviso.

L’idea alla base del progetto era dare un senso di smarrimento, una sensazione di vuoto. Trovai quel concetto e la sua realizzazione una vera opera d’arte che andava oltre il concetto di architettura, quindi feci ricerche per capire chi ne fosse l’autore. Conobbi così lo straordinario lavoro di Daniel Libeskind, architetto di fama mondiale.

Dopo il viaggio a Berlino decisi di approfondire meglio il mondo dell’architettura scoprendo così i grandi “Archistar” come Norman Foster, Zaha Hadid, Cesar Pelli, Renzo Piano, Tadao Ando, Santiago Calatrava. Decisi che le idee, le scelte estetiche e funzionali alla base dei luoghi in cui viviamo e il rapporto che noi esseri umani abbiamo con gli edifici sarebbe stato il mio lavoro.

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